AFRICA E FUTURO

Il 5 novembre scorso Paolo Lambruschi del quotidiano Avvenire pubblicava una intervista al cappuccino Angelo Pagano, vescovo di Harar (Etiopia) sulla situazione del continente nero. Il titolo era eloquente: “La mia Africa, stritolata dall’odio etnico e dalla corruzione”.

 

Una panoramica per alcuni versi impietosa, ma carica di amore per quella terra, o meglio per quelle terre così riccamente diverse fra loro.

 

Abbiamo pensato che ai nostri amici e lettori potesse far piacere e interessare un contributo che li (ci) aiuti a comprendere problemi e retaggi, potenzialità e realizzazioni. Paolo ci ha volentieri dato piena autorizzazione a utilizzare alcune battute significativa della intervista.

Un po’ di contesto. L’Etiopia è il secondo Paese più popoloso dell’Africa, con 120 milioni di abitanti; i cattolici sono minoranza significativa (un milione). Harar è la quarta città dell’Islam per importanza e il suo nome significa “città della pace”. Da parte sua monsignor Pagano è un italiano d’Africa, nato ad Asmara, in Eritrea, missionario da 35 anni e vescovo da sette. Testimone quindi dei sanguinosi scontri nel Tigrai, nonostante gli accordi di Pretoria per il cessate il fuoco un anno fa.

 

Come si costruisce la pace in quel contesto? La speranza è sempre l’ultima a morire e credo che le popolazioni africane, se lasciate libere di camminare e di sbagliare, ci metteranno più tempo, ma riusciranno a venirne fuori. L’Africa è in cammino, in Europa ci sono voluti decenni per realizzare la democrazia che non è ancora arrivata dappertutto. Ognuno di noi vuole la pace e nella chiesa, in particolare, ci sono vescovi e cardinali impegnati in prima persona per difendere i diritti umani e parlare delle difficoltà e delle ingiustizie. L’Africa è condizionata da molte potenze, però abbiamo la libertà di opporci e anche noi che ci viviamo abbiamo le nostre colpe. (…) L’Africa ha bisogno di tempo, sì, ma anche questo sta scadendo perché le ultime indipendenze risalgono a più di mezzo secolo fa e in questo tempo è cresciuta una nuova élite colta. È arrivata alla maturità una generazione che ha girato il mondo, è aperta e conosce bene la realtà globale e che deve agire. Deve scegliere se stare con la popolazione e battersi per il bene comune oppure pensare solo al benessere del proprio clan. Ci sono leader di buona volontà che vogliono la pace, la sfida principale è riuscire a far convivere i differenti gruppi etnici all’interno della stessa nazione. È difficile per gente abituata da secoli ad essere guidata da capi della stessa etnia accettare capi di altri gruppi etnici. Ci vuole questa capacità e non basta sperare nelle generazioni future, bisogna cominciare ora il cambiamento.

 

Che rapporti fra cristani e musulmani? Purtroppo negli ultimi anni la convivenza tra musulmani e cristiani soprattutto ortodossi è peggiorata. La violenza aumenta. Personalmente sono stato aggredito lo scorso agosto nella Somali region (l’ex Ogaden, ndr) dove ero andato a benedire una cappella. Al termine della celebrazione ci siamo trovati circondati da 50 giovani armati di sassi e bastoni. Avevano incendiato una chiesa ortodossa confinante e ucciso il sacerdote. Siamo stati tenuti in ostaggio per sei ore. Grazie a Dio mi ha aiutato lo spirito francescano. Sono andato disarmato a parlare con loro, ho preso qualche pietra, ma li ho convinti a liberarci. Ci avevano scambiati per ortodossi. Poi siamo venuti a sapere che erano stati uccisi in tre giorni 12 preti e diaconi ortodossi e sono state distrutte diverse chiese in sette zone. Era un attacco premeditato agli ortodossi.

 

La Chiesa dice “liberi di partire e liberi di restare”: cosa ne pensa? L’Africa ha grandi potenzialità eppure sentiamo i giovani dire che non hanno speranze né sogni per il loro futuro. E sono volenterosi e intelligenti. Quel che dice il Papa è quello che diciamo anche noi vescovi d’Africa e che pensano gli africani. Bisogna dare la libertà di scelta creando sviluppo. Le possibilità ci sono, ma vanno indirizzate meglio. Una parte importante devono svolgerla le autorità locali e i governi utilizzando gli aiuti per progetti mirati. E poi bisogna sconfiggere la corruzione da ambo le parti evitando che si aiuti solo una parte della popolazione o che i soldi spariscano. La voce del Papa si leva perché è la voce della fede, ma la maggior parte del mondo la fede l’ha persa. I cristiani sono una minoranza, diamoci da fare allora, dobbiamo essere lievito e voce di chi non ne ha. Portare avanti evangelizzazione e promozione umana nei villaggi e nelle periferie soprattutto dove non c’è nulla. Anche a costo del martirio.

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